Ansia da separazione cos’è e quando diventa un disturbo

L’ansia da separazione è la paura e il malessere che insorgono nel momento di separarsi e allontanarsi dalla propria casa o da una specifica figura di riferimento. L'ansia da separazione diventa un vero e proprio disturbo quando è eccessiva e sproporzionata e quando limita la vita quotidiana del bambino, dei suoi genitori e della famiglia.

Psicologa e Psicoterapeuta Ribaldone AlicePsicologa e Psicoterapeuta Ribaldone Alice 01 Agosto 2021
ansia da separazione

Si tratta di un tipo particolare di ansia, rivolta quindi ad un oggetto specifico, cioè l’allontanamento da qualcosa o qualcuno che si ritiene essere fonte di sicurezza. Come per le altre tipologie di ansie, può essere considerata nella norma quando non va ad intaccare in modo considerevole gli ambiti di vita della persona, limitandone le attività, e non provoca grossi problemi a livello psicologico e fisico.
Nel momento in cui questa condizione di ansia diventa eccessiva e limitante per la persona si rischia che si trasformi in un vero e proprio disturbo, definito dal DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, American Psychiatric Association, 2013) come Disturbo d’ansia da separazione.

Cos’è il Disturbo d’ansia da separazione

Il disturbo d’ansia da separazione (in inglese SAD, Separation Anxiety Disorder) è una condizione psicologica in cui è presente un’ansia eccessiva e inappropriata quando bisogna lasciare la propria casa o separarsi da persone a cui è particolarmente attaccati e che sono punti di riferimento (ad esempio genitori, nonni, insegnanti).
L’ansia manifestata è considerata come eccessiva e spropositata rispetto all’evento e spesso atipica rispetto al livello di sviluppo che ci si aspetterebbe dall’età della persona. Questo disturbo può avere un impatto negativo sulla vita della persona che ne soffre con conseguenze in diversi contesti, sociale, emotivo, familiare, fisico, scolare o lavorativo.
I sintomi possono avere diverse gravità: si può passare da ansia e malessere preventivo al pensiero di allontanarsi e separarsi dal luogo o persona sicura fino a veri e propri attacchi di panico nel momento in cui la separazione si concretizza.
Il DSM-5 definisce il disturbo d’ansia da separazione come una “inappropriata ed eccessiva paura o ansia che affligge i bambini in situazioni che implicano la separazione dalla figura di riferimento primaria”. Per cui si tratta di una problematica che affligge in particolare l’età evolutiva e dello sviluppo.

Ansia da separazione nei bambini come tappe evolutiva

L’ansia da separazione è una normale tappa evolutiva nello sviluppo intellettivo e sociale del bambino, conosciuta anche come “angoscia dell’estraneo”. Insorge verso gli 8-9 mesi di età (terzo trimestre del primo anno), momento in cui il bambino inizia a riconoscere i diversi visi e a reagire in modo positivo a quelli familiari e negativo a quelli estranei e non conosciuti. In questo periodo, è comune che i bambini reagiscano alla separazione dalla madre (o altra figura di accudimento) con qualche ansietà. Le reazioni dei bambini possono essere molto varie: l’ansia può essere mite o abbastanza grave, fino ad evolvere in un disturbo. Di solito si assiste alla protesta del bambino nel momento in cui un genitore si allontana lasciandolo, anche se per breve tempo, fosse anche solo per andare a fare una doccia o a cucinare. Oppure non vuole che altri si prendano cura di lui e si lamenta nei momenti di inevitabile separazione, come all’ora di andare a letto o del pisolino.
Quello che si innesca in questo periodo è connesso al forte attaccamento del bambino alla figura di riferimento principale e alla paura che quando questa scompare egli la perda, quindi ad una paura abbandonica. Quando il bambino non può vedere chi si prende cura di lui, nella sua mente questa persona è come se cessasse di esistere perché non ha ancora raggiunto la fase della permanenza dell’oggetto, cioè sapere che gli altri esistono in modo permanente indipendentemente dalla percezione che ne ha.
Questa fase può durare fino ai circa 14-18 mesi di età quando il legame di attaccamento con la figura di accudimento è avvenuto, il bambino inizia a rendersi conto di essere una persona distinta dalla madre e comincia a sviluppare la propria personalità. L’ansia da separazione tende spontaneamente ad attenuarsi dopo i 2 anni e a scomparire completamente prima dello sviluppo puberale.
Quello che accade è un processo di elaborazione della separazione dalla figura di accudimento che mi manifesta attraverso la paura e l’angoscia dell’estraneo. Il bambino si muove tra due bisogni: da un lato il desiderio di esplorare da solo il mondo circostante, dall’altro il bisogno di restare al sicuro e tornare dalla figura di attaccamento (quella che Bowlby chiamava “base sicura”). Quando il bambino riesce a comprendere che gli altri esistono al di fuori della sua percezione e che i suoi genitori tornano da lui, allora sarà capace di vivere in modo più sereno la separazione e il distacco e di accettarli.

Quando l’ansia da separazione diventa un disturbo

Il bambino o ragazzo che ne soffre può manifestare una paura esagerata alla sola idea di allontanarsi dalla sua figura primaria di riferimento (che sia un genitore, un nonno o una babysitter). Questa ansia si trasforma in una vera e propria angoscia ed agitazione nel momento in cui ciò si verifica realmente. Ad esempio il bambino può non voler più dormire da solo nel suo letto oppure fare capricci all’ingresso della scuola al momento di separarsi dal genitore.
La paura e l’ansia della perdita possono manifestarsi in modi diversi:

  • scatti di rabbia
  • urli e pianti
  • tentativi di trattenere fisicamente il genitore per non farlo allontanare
  • attraverso sintomi fisici come mal di testa, mal di pancia, nausea, vomito, palpitazioni e sudorazione.

Crescendo l’ansia da separazione può esprimersi anche attraverso dei pensieri negativi che hanno come oggetto la possibilità che accada qualcosa di brutto (un incidente o una malattia) a se stessi o ai genitori oppure un qualche evento che possa separarli per sempre.
Con la crescita la manifestazione dell’ansia da separazione può invadere gli ambiti sociali e scolastici, evolvendosi in altri disturbi o trasformandosi in ritiro sociale e difficoltà a relazionarsi con gli altri bambini, rifiuto di andare a scuola e scarso rendimento scolastico.
Il disturbo d’ansia da separazione può derivare da un mancato superamento della tappa evolutiva o può svilupparsi come conseguenza di eventi stressanti come la separazione dei genitori, la morte di una persona cara, una malattia (proprio perché l’ansia da separazione è connessa ad un’angoscia abbandonica) oppure eventi che sembrano meno rilevanti e “traumatici” ma che possono sconvolgere la vita e la routine del bambino come un trasloco od un cambio di scuola.

Ansia da separazione cosa fare

La prima cosa da fare per affrontare l’ansia da separazione quando si manifesta come disturbo è riconoscerla e accettarla. Ciò è fondamentale da parte dei genitori perché l’angoscia del bambino è influenzata dai comportamenti, consapevoli o no, delle persone che si prendono cura di lui. Ad esempio, quando si deve uscire di casa o lasciare il bambino a scuola è meglio salutarlo con affetto ma in modo neutro senza eccessivo coinvolgimento emotivo per non rendere la separazione più complessa. Può essere utile in questo caso creare una routine per salutare il bambino, in modo che sia stabile e rassicurante per lui e, anche, per i genitori.
Genitori molto protettivi ed ansiosi tenderanno a comportarsi in modo tale da incrementare ed amplificare l’ansia e il disagio del bambino, ad esempio comportamenti iperprotettivi o intrusivi da parte dei genitori possono scoraggiare l’indipendenza del bambino e consolidare eccessivamente la dipendenza dai genitori.
Il modo migliore per affrontare questa problematica relazionale e familiare consiste nel parlare in modo aperto e chiaro al bambino, spiegargli cosa è successo o cosa succederà alla loro famiglia (separazione, lutto, inizio della scuola, trasloco), rassicurarlo che non succederà niente di brutto, che le cose si sistemeranno e che si abituerà alla nuova routine quotidiana.
È importante, inoltre, aiutare il bambino a riconoscere le proprie emozioni e a metterle in parola. Infatti, riuscire a trasformare un’emozione spiacevole in qualcosa di definibile a parole significa riuscire a comprenderla, metterle dei confini e trovarle una collocazione nella propria vita.
Come per tutte le difficoltà e problematiche che ognuno di noi si trova a vivere, è sempre possibile chiedere aiuto ad un esperto, un terapeuta che possa aiutare non solo il bambino ma tutta la famiglia ad affrontare questa difficoltà attraverso una psicoterapia. Non esiste un trattamento unico, ma trattandosi di un problema relazionale può essere molto efficace l’idea di intraprendere una terapia familiare o un sostegno alla genitorialità per essere aiutati da un punto di vista comportamentale e per ritrovare l’equilibrio e il benessere all’interno della famiglia.

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